Avvicinarsi alla meditazione significa avvicinarsi al proprio mondo interiore, al proprio cuore. A chi non ha mai avuto esperienza di questi vissuti, è necessaria qualche parola di spiegazione per avere un’idea di cosa significano queste poche righe, affinché non restino parole vuote. La meditazione infatti non è un puro concetto filosofico o intellettuale, neppure un’arte alchemica solo per pochi illuminati; la meditazione è una pratica per tutti. Se seguita con costanza e impegno e intento, porta a scoperte che aprono a grande benessere, oltre a guidarci a riscoprire la nostra più vera natura di esseri umani, dalla quale ci siamo profondamente e tristemente allontanati.  Proviamo ad entrare maggiormente in direzione del significato della parola meditazione, così come mi si è svelato nel cammino formativo di psicoterapeuta e nel percorso personale di donna alla ricerca di risposte. In linea con la filosofia perenne (quella filosofia che soggiace a tutte le religioni mistiche antiche di ogni tempo e luogo nella storia dell’uomo), dietro e prima di ciò che è visibile, materiale e immanente, esiste un divino trascendente, spirituale e mistico che è all’origine di ogni cosa e che tutto compenetra e unisce. Se questa visione del mondo può essere molto chiara agli occhi di chi segue una determinata religione, credo che lo possa essere altresì a chi si permette di percepire il senso sentito del divino e del nume ineffabile nella sua esperienza di vita quotidiana: il piacere e la profonda quiete delle onde del mare al tramonto, il silenzio densamente pieno di energia delle cime dei monti, la forza del vento che pulisce, il calore del fuoco che trasforma, possono essere esperienze di incontro con il sacro per ogni essere umano attento al famoso “essenziale invisibile agli occhi”, per dirla con le parole del piccolo principe. Sempre seguendo gli insegnamenti dei grandi maestri di tutte le più importanti religioni del mondo oltre che di tutta la storia della filosofia, dai testi della tradizione ermetica fino a Platone e ai teologi cristiani, questo stesso divino che trascende ogni essere, si trova nel cuore di ogni essere vivente, nell’anima di ognuno di noi. Compito di ogni uomo che vuole vivere una vita piena è ricercare quel divino, giungere quindi al proprio cuore, al proprio Sé interiore, dove quel divino dimora. La meditazione serve proprio a questo. Nel corso della crescita, ogni essere umano sviluppa una serie di risposte di protezione a ciò che capita nella vita; queste risposte vanno a coprire quella sorgente interiore, facendoci allontanare sempre di più dal nostro cuore, dal proprio divino interiore che rappresenta la connessione con il divino universale. Come non esiste famiglia perfetta, così non esistono dinamiche familiari che non spingeranno l’individuo bambino ad apprendere risposte protettive per non sentire determinati dolori, causando così la costruzione di quella che in psicologia si chiama corazza caratteriale e che rappresenta quindi una modalità cronicizzata di rispondere alle cose del mondo. Non è importante se quegli stimoli dolorosi del passato non esistono più, noi abbiamo imparato a reagire in quel modo e così continueremo a fare, spinti dalla paura e quindi dal bisogno di non sentire quel dolore. In tutto questo la nostra lontananza dal nostro cuore ci fa dimenticare il nostro divino interiore, luogo della pace, luogo della centratura, luogo neutro e saggio dal quale poter attingere la vera forza per affrontare la vita. La meditazione ci vuole guidare verso il ritorno a quel cuore, a quella sorgente, a quel divino interiore. Imparare a meditare significa imparare a fare il silenzio della mente, luogo in cui si generano i pensieri, luogo nel quale siamo identificati con quelle risposte coriacee e standardizzate che abbiamo imparato, tradotto in termini psicologici come ego. Meditare vuol dire imparare a smascherare queste identificazioni con la nostra  identità, con l’idea che abbiamo di noi e che, ripetuta per una vita, è diventata ormai la persona che siamo. Meditare vuol dire allontanarci da queste identificazioni, riuscire quindi a vederle, e decidere che cosa farne, non più schiavi ma comandanti della nostra nave. Non certo un esercizio semplice, ma l’unica via che ci è stata insegnata dai grandi maestri di tutti tempi, per vivere una vita autentica e in reale connessione con chi siamo realmente, con il nostro Sè interiore. Ci sono tantissime tecniche di meditazione, tradotte generalmente dalle tradizioni orientali più antiche, e tutte conducono allo stesso obiettivo: trovare dentro di noi quel luogo di silenzio dal quale il nostro osservatore può con lucidità vedere ciò che ci sta accadendo e interrompere quindi quell’equazione tanto comune ad ogni essere umano che traduce ogni azione che ci capita in una reazione spontanea, non ragionata, dettata dal nostro carattere e quindi, dalle nostre antiche paure. Imparare a fare il vuoto interiore ci permette di passare da: azione-reazione ad azione-osservazione. Il primo beneficio di tale apprendimento è di rispondere a quello che succede oggi evitando di reagire con gli schemi appresi nel passato. Per fare un semplicissimo esempio, se ho imparato ad aver paura delle reazioni violente di mio padre, non necessariamente risponderò con paura a tutti gli uomini che si affacceranno alla mia vita, o, ancor peggio non andrò a cercare proprio un uomo violento come nella miglior tradizione psicologica della coazione a ripetere. Imparare quindi a riconoscere i nostri schemi appresi reattivi ci permette di scegliere una risposta più consona a ciò che siamo autenticamente, alla nostra vera natura, quella nostra natura interiore che esisteva prima di tutte le esperienze che abbiamo vissuto nella vita, il nostro Sé interiore, luogo in cui siamo sani. Questo primo passo già sarebbe sufficiente per decidere di iniziare a percorrere il cammino della meditazione. Tuttavia non è l’unico, perché la meditazione offre altri grandi regali ai coraggiosi che si appresteranno a dedicarvi tempo e motivazione. Arrivare infatti a contattare il nostro vuoto interiore, la quiete della mente, l’equilibrio delle emozioni, significa assaporare il momento presente in tutte le sue sfaccettature. Poterlo fare durante la meditazione insegna a generalizzare questa sana modalità di risposta, guidandoci quindi ad essere sempre più in grado di vivere il momento presente, che rappresenta l’unico momento in cui veramente possiamo fare la differenza nella nostra vita. Molto spesso infatti siamo proiettati nel futuro e ci pre-occupiamo (ossia ci occupiamo prima) di qualcosa che ancora non è avvenuto. Questo meccanismo, se reiterato nel tempo, genera molta ansia, poiché la nostra mente si occupa di cercare di risolvere qualcosa che non è ancora avvenuto quindi si scontra con qualcosa di impossibile da cambiare entrando così in un loop di paura. La stessa cosa accade quando la nostra mente è sempre rivolta al passato, nel risentimento o della mancata accettazione di qualcosa che è successo. L’unica differenza è che invece di generarsi ansia, si genererà depressione. Imparare a dimorare nel presente, come primo effetto positivo, offre quello di liberarci da ansia e depressione; come secondo, e forse ancora più importante, ha quello di permetterci di cambiare le cose nell’unico momento in cui davvero possiamo cambiarle, ossia il momento presente. La sensazione di pace che ne deriva è esperienza di tutti i meditatori costanti, se non posso risolvere nulla che non è ancora accaduto, se non posso cambiare nulla che è già accaduto, e sto dimorando in pace nel momento presente vuol dire che questo momento è perfetto esattamente così come è (perché se nel momento presente ci fosse un problema lo starei risolvendo). Si fa esperienza quindi del grande benessere che deriva dallo stare in contatto con il proprio cuore, esattamente qui e ora. Da quella sorgente sgorga spontaneamente grazia e beatitudine, se abbiamo il coraggio e la pazienza di lavorare costantemente verso il cammino della meditazione. Inoltre, come detto precedentemente, in quella sorgente dimora il divino, e con il tempo si può fare esperienza di vissuti di estasi durante i quali possiamo percepire il contatto con questo divino interiore e quindi il contatto con in divino Universale, che compenetra ogni essere vivente, facendoci così sentire parte di un tutto che è uno e che tutto unisce. Auguro a tutti di percorrere questo cammino, di certo non facile, ma alla portata di ciascuno di noi. Viviamo in un’epoca in cui è chiaro a chiunque che è necessario un cambiamento perché l’umanità possa sopravvivere. Certamente non possiamo fare il miracolo di cambiare tutto ciò che non va, ma possiamo partire dal lavorare sulla nostra piccola evoluzione personale, e questa minuscola goccia sarà ciò che di meglio possiamo portare verso l’evoluzione dell’intero pianeta.